Introduzione a cura del prof. don Franco del Nin
Denominazione e diffusione
L’islamismo, dopo il cristianesimo, è la religione più estesa della terra (circa 600 milioni di fedeli).
L’insieme dei riti, credenze e leggi che lo costituiscono fondati sul Corano, diffuso da Maometto, riformatore e ricostruttore della pura religione: l’islam (dal verbo aslama, sottomettersi), è un solido monoteismo, quello rivelato da Dio ad Abramo, il primo sottomesso della storia; successivamente egli viene imitato nel suo islam da Giuseppe, Mosè e da tutti i profeti, tra cui Gesù; Maometto è il “sigillo dei profeti”.
Al contrario di molte religioni che lungo il tempo hanno perso seguaci, l`islamismo non ha mai sofferto perdite consistenti a favore di altre confessioni religiose. Anzi il musulmano (= muslim, aderente all’islam) è profondamente convinto di appartenere alla migliore comunità (Umma) suscitata tra gli uomini (Corano 3,110) e di dover ricordare in ogni ambito della sua vita la fedeltà a Dio e a Maometto.
Le diverse ” diramazioni ” dell’islam
Le diverse diramazioni dell’islam hanno origine in particolari contesti storici e politici, dovuti soprattutto al problema della successione di Maometto. Il loro dissenso è più politico che religioso. Di fatto i musulmani odierni, pur riferendosi alla medesima fonte del Corano, al medesimo culto e al medesimo credo, sono molto diversi e presentano forme di vita religiosa molto varie tra di loro. Il musulmano del nostro tempo è segnato dalla propria cultura nazionale e dagli apporti culturali del mondo moderno. Tuttavia, pur tenendo conto delle specificità di ogni popolo musulmano, si può affermare che essi sono distinti in due gruppi essenziali: i sunniti e gli sciiti.
I sunniti
Essi sono eredi della grande tradizione storica del1’islamismo dei califfi Ommiadi e Abbasidi, seguaci della Sunna (90%), sensibili ai valori della comunità e al successore del profeta, che può essere solo un custode dell’eredità profetica (il califfo) scelto tra i maschi della tribù cui apparteneva Maometto. I sunniti sono fedeli alla tradizione, cioè alla Sunna che interpreta il Corano. La Sunna e il Corano formano la norna di vita.
Gli sciiti
Gli sciiti (da shi’a = partito), circa il 9%, rifiutano la tradizione. Di fatto sono seguaci di Alì, cugino e genero di Maometto, di cui rappresenta 1’incarnazione. I califfi vengono denominati imam (guida, condottiero), guide visibili e invisibili della comunità, e partecipano cosi della luce profetica e dell’impeccabilità dell`inviato. Gli sciiti sperano in un messia (mahdi) che apparirà come il vero Imam e che restaurerà, alla fine del mondo, l’età dell’oro dell’islamismo, cioè quella dei primi quattro califfi (Abu-Bakr, Omar, Osman, Alì)
Altri gruppi islamici
I drusi: sono una minoranza etnica molto potente che vive in Libano e gode di una particolare autonomia conquistata contro gli arabi, i turchi e i cristiani. La loro vita sociale ha una struttura fortemente patriarcale, professano dottrine esoteriche (insegnamenti segreti che conoscono solo gli adepti).
I movimenti riformisti, come quello dei vahabiti, fondato da Mohammed Ibn Al-Vahab nel 1787 circa. Questi rifiutano ogni innovazione che non faccia riferimento al Corano e alla tradizione che riconoscono come valori normativi per la comunità.
Il socialismo arabo, come l’Egitto, la Tunisia, la Libia, lo Yemen. L’Iraq, l’Algeria…. Sono stati che utilizzano sul piano economico metodi marxisti; dal punto di vista ideologico però, non professano ateismo ma la fede in Allah. .
Il misticismo arabo. Esso include alcuni movimenti spirituali che, al contrario del socialismo arabo, praticano anzitutto una regola di vita ascetica approfondendo il Corano e il suo messaggio. Una importanza notevole ha avuto, per i mistici, Al-Ghazali (1058-1111), che riuscì a superare le divergenze tra la dottrina ufficiale di fede e la realtà dell’esperienza di Dio, la cui conoscenza risiede soprattutto nel cuore umano.
I dervisci (questuante, mendicante): sono confraternite religiose che praticano la vita comunitaria in conventi o monasteri secondo regole molto precise, specie per la recita del Corano.
Il sufismo (da suf, tunica di lana degli asceti): è un vasto movimento ascetico musulmano che trova la sua collocazione all’interno dell’islamismo sunnita proprio per la mediazione di Al-Ghazali, grande teologo, giurista e filosofo. Il sufismo sottolinea la dedizione a Dio nella contemplazione e nella preghiera, allontanando tutto ciò che ostacola la concentrazione. L’aspirazione all`unione mistica con Dio è l’obiettivo primario del sufismo. Lungo i secoli della storia dell’islamismo vi sono molti mistici diventati modelli di santità peri buoni musulmani.
Quadro storico dell’Islam
L’islam nacque a La Mecca verso il 610 d.C. La religione degli arabi in quel tempo era una forma dell’antica religione semitica e un certo numero di santuari dedicati a varie divinità si trovavano sparsi qua e là. Gli dei erano a volte considerati come angeli, e si poteva loro chiedere di intercedere presso il Dio supremo in favore di chi li implorava. Alcune tribù o loro parti erano divenute cristiane, mentre a Medina e in altri luoghi dell’Arabia Occidentale vivevano comunità ebraiche; per questo talune idee ebraiche e cristiane erano familiari a molti arabi.
Il contesto storico della nascita dell’islam.
L’islam nacque tra abitanti della città impegnati in vasti traffici commerciali. Verso la fine del VI secolo i mercanti di La Mecca detenevano il monopolio del commercio tra l’Oceano Indiano e il Mediterraneo che passava lungo la costa occidentale dell’Arabia sulla groppa dei cammelli; La Mecca aveva un santuario, la Ka ‘bah che era un antico centro di pellegrinaggio circondato da una zona sacra. Ciò facilitò lo sviluppo del commercio, ma la ricchezza riversatavi sulla città portò a tensioni sociali.
Maometto, i primi passi
Maometto nacque a La Mecca intorno al 570 d. C. Verso il 610 d. C. cominciò a credere che Dio gli affidasse dei messaggi col preciso comando di trasmetterli ai concittadini
Tali messaggi o rivelazioni furono in seguito radunati e la loro raccolta costituisce il Corano. In essi si trova l’affermazione che Dio è uno (Allah) e che egli è misericordioso e onnipotente, padrone del corso degli eventi. Nell’ultimo giorno Dio giudicherà gli uomini secondo le loro opere e li destinerà al paradiso o all’inferno. Una delle cose che egli si attende dagli uomini è un uso generoso della ricchezza. Nelle rivelazioni Maometto fu convinto che tali rivelazioni non erano una sua invenzione, bensì la parola veramente rivoltagli da Dio tramite un angelo, e questo è pure quanto i musulmani credono.
Maometto, le prime opposizioni
Maometto conquistò un certo numero di seguaci, che si incontravano di frequente con lui e a lui si univano nell’adorazione di Dio. Ma i suoi messaggi non furono tutti bene accolti, i mercanti di La Mecca, infastiditi dalle critiche rivolte alle loro pratiche, come risulta implicitamente dal corano, organizzarono una fiera opposizione. I mercanti parlavano degli antichi dei pagani, invece il Corano veniva a dire che esiste un solo Dio, che non esiste alcuna divinità al di fuori di Allah. Con l’aumento dell’opposizione, i messaggi coranici cominciarono a menzionare i profeti precedenti che avevano incontrato opposizione, ricordando come Dio aveva salva o essi e mandato in rovina iloro oppositori. Tra i personaggi chiamati in causa figuravano Noè e il diluvio, Lot e la distruzione di Sodoma, Mosè che fugge dal faraone.
Verso Medina
Maometto e i suoi seguaci cominciarono cosi ad essere perseguitati in varie maniere dai loro avversari, che erano poi spesso i loro stessi parenti. Alla fine gli divenne impossibile continuare la sua attività religiosa alla Mecca, e nel 622, preceduto da circa settanta uomini e dalle loro famiglie, emigrò a Medina. Questa migrazione, l’Egira, fu l’evento che segnò l’inizio dell’era islamica.
Medina
Medina era un’oasi fertile, mai suoi abitanti erano divisi in due gruppi ostili. La maggior parte di essi accettarono Maometto come profeta e consentirono a formare un’unica comunità o federazione con i nuovi arrivati da La Mecca. Forse speravano così che Maometto li aiutasse a superare le loro divisioni fu a Medina che la religione islamica assunse i suoi lineamenti.
Le principali forme rituali, in base all’insegnamento di Maometto, furono: il culto, l’elemosina, il digiuno (per tutto il mese di Ramadan) e il pellegrinaggio a La Mecca. A Medina i messaggi rivelati a Maometto contengono anche norme legali su punti in cui il costume arabo era carente, come ad esempio l’eredità dei beni e l’illiceità dell’incesto.
I clan ebraici di Medina entrarono nella federazione di Maometto come alleati dei clan arabi membri, ma quasi tutti gli ebrei rifiutarono di accettarlo come profeta. Essi derisero alcune parti del Corano e a volte si opposero attivamente ai musulmani, tanto che Maometto espulse due loro clan e fece giustiziare gli uomini di un terzo. Sin dopo la conquista di La Mecca ebbe pochi contatti con i cristiani. All’inizio Maometto non aveva alcun potere politico speciale a Medina: era semplicemente il capo degli emigranti provenienti da La Mecca. Ma dopo un anno o due tutti i suoi seguaci furono coinvolti in ostilità con gli abitanti pagani di La Mecca. Verso il 630 egli fu in grado di conquistare questa città.
Trattò con generosità i nemici e convinse la maggior parte di essi a diventare musulmani. Anche molte altre tribù sparse per l’Arabia si unirono alla sua federazione e divennero musulmane. Dati i suoi successi, la sua autorità come capo di stato si fece indiscussa.
I primi califfi
Chi onora Maometto deve sapere che egli è morto. Ma chi onora il Dio di Maometto deve sapere che egli è vivo e immortale. Maometto morì nel 632, e con queste parole Abu Bakr, suo primo successore, rincuorò la comunità musulmana e la indirizzò verso il compito che l’attendeva.
Alla sua morte Maometto lasciò una religione e uno stato. Inizialmente lo stato ebbe la forma di una federazione di tribù o clan, poi, man mano che si estese divenne ancor più organizzato. Il capo dello stato fu detto il Califfo, cioè il successore (halifa) o (rappresentante) di Maometto. La razzia a danno dei vicini era stata occupazione normale per le tribù nomadi arabe, e Maometto e i primi califfi si resero conto che non sarebbero riusciti a mantenere la pace nella federazione, se non avessero trovato uno sfogo per le energie degli uomini delle tribù. Cosi organizzarono delle razzie in direzione della Siria e dell’Iraq, per procurarsi tra l’altro animali domestici.
Le prime scorrerie partite da Medina furono un vero successo. In effetti c’era un vuoto di potere nella regione, perché le due grandi potenze del tempo, l’impero bizantino e quello persiano, erano state quasi costantemente in guerra per mezzo secolo e si trovavano ora esauste. In poche battaglie decisive i musulmani infransero l’opposizione che esse ancora presentavano e, invece di tomarsene a Medina dopo ogni campagna, stabilirono basi avanzate, in modo da poter spingersi ancora più avanti nelle spedizioni successive. Seguendo questa strategia occuparono l’Egitto, la Siria e l’Iraq nel giro di dodici anni che seguirono la morte di Maometto e presero ad avanzare verso la Libia ad occidente, e verso quello che è l’odierno Iran, ad oriente.
I governatori bizantini e persiani delle province assalite fuggirono, e i musulmani stipularono trattati con gli abitanti di esse, riconoscendo loro la condizione di (minoranze protette). A questi gruppi era concessa la facoltà di ordinare autonomamente i loro affari interni, ma dovevano pagare un tributo o tassa al governo musulmano. La condizione di minoranza protetta fu riconosciuta solo alla (gente del libro), alle comunità che credevano in un solo Dio e possedevano libri sacri scritti, cioè agli ebrei, ai cristiani e agli zoroastriani.
L’esplosione dell’Islam
Salvo alcuni periodi di lotte civili fra musulmani, l’espansione continuò per un secolo. Ad occidente essi occuparono l’Africa settentrionale fino all’Atlantico, passarono in Spagna e per pochi anni controllarono la regione attorno a Narbonne nella Francia meridionale. Nella famosa battaglia di
Poitiers del 732 una spedizione di razziatori musulmani fu sconfitta da un esercito francese, ma questo non allentò la presa musulmana sulla Spagna. Verso nord essi raggiunsero Costantinopoli, ma non riuscirono ad occupare altre parti dell’Asia Minore. Verso est, dopo aver occupata tutta la Persia e l’Afghanistan, penetrarono nell’Asia centrale e attraversarono il fiume Indo nell’odierno Pakistan. Sino al 750 questa vasta area costituì un singolo stato governato dai califfi della dinastia degli Ommiadi.
La maggior parte degli abitanti di queste regioni non si convertirono subito all’Islam ma divennero minoranze protette. Le spedizioni militari, per quanto nobilitate dal titolo di (guerra santa: gihad), erano delle scorrerie per fare del bottino e non dei convertiti. Le minoranze protette furono trattate bene complessivamente, perché i governatori musulmani si fecero un punto di onore rendere la loro (protezione) effettiva. Tuttavia i membri di queste minoranze si vedevano come cittadini di seconda classe, per cui nel corso dei secoli, in seguito ad un continuo stillicidio di conversioni all’islam, questo divenne la religione dominante in paesi che erano stati la patria d’origine del cristianesimo.
Il consolidamento
Nel 750 la dinastia dei califfi Ommiadi di Damasco fini. Durante i successivi 500 anni la dinastia degli Abbasidi governo da Baghdad, ma senza riuscire ad assumere il controllo della Spagna islamica e perdendo gradualmente il controllo di altre province esterne. I governatori locali, sostenuti da un forte esercito, pretesero di essere loro a nominare il proprio successore e finirono per mantenere solo deboli legami col califfo. Nel 945 il califfo abbaside fu addirittura costretto a delegare l’autorità politica e militare suprema su Baghdad e sulle province centrali. Tuttavia califfi abbasidi continuarono a sedere sul trono di Baghdad, benché senza potere politico, fino all’invasione devastatrice dei mongoli del 1258.
Mentre con gli Ommiadi si ebbe un periodo di crescita e adattamento dell’Islam e della potenza araba, i primi due secoli di governo degli Abbassidi furono caratterizzati da un’epoca di consolidamento. Tutte le forme culturali necessarie alla vita di un grande impero fiorirono. Un posto centrale fu assegnato allo sviluppo e alla elaborazione della legge islamica, la shariah, che costituì la base della struttura sociale. La shariah fu derivata in parte dalle regole del Corano e in misura notevole anche dall’esempio di Maometto, conosciuto attraverso la raccolta di hadith (tradizione), racconti relativi ai suoi atti e ai suoi detti.
Questo studio della legge o giurisprudenza divenne il nucleo dell’istruzione islamica superiore.
Discipline scolastiche secondarie si occuparono del testo del Corano, della sua interpretazione, grammatica, lessicologia e dottrina teologica. Accanto ad esse furono coltivate anche le (scienze estere) la filosofia greca, la medicina, la matematica e la scienza naturale. Molti libri greci furono tradotti in arabo, e grandi progressi fecero registrare le scienze, la letteratura, le art e le forme di governo e di amministrazione.
Verso oriente
Dopo il 750 l’espansione militare segnò il passo e si può dire che l’unica penetrazione fu quella effettuata in India. Qui il potere islamico raggiunse il suo apogeo sotto gli imperatori Moghul fra il 1556 e il l707, quando la maggior parte del subcontinente fu loro assoggettato. Gli indù furono trattati come (gente del libro), perché i loro filosofi erano monoteisti. Anche in India si verificarono conversioni di gruppo all`islam, ma la maggior parte della popolazione rimase indù.
I mercanti musulmani portarono l’Islam nella steppa dell’Africa occidentale con le loro carovane di cammelli, mentre i mercanti del mare la fecero conoscere lungo la costa dell’Africa orientale. Dall’ India essa si diffuse principalmente attraverso il commercio, nella Malaysia, Indonesia e Filippine, e dall’Asia centrale penetrò nella Cina orientale.
La popolazione locale rimase impressionata dalla sicurezza e dalla cultura dei mercanti musulmani, permise loro di sposare donne del posto e spesso, dopo un po’ di tempo, si decise a divenire essa stessa musulmana. Non di rado i convertiti conservarono molti dei loro antichi costumi e non presero subito a osservare pienamente la shariah. Ma col passar dei secoli si avvicinarono in misura maggiore all’islam classico; mentre nel frattempo il numero dei musulmani era andato crescendo.
L’unica regione dove l’islam batte in ritirata fu la Spagna. La pressione militare cristiana restrinse gradualmente l’area sotto controllo musulmano, finché nel 1492 l’ultimo sultano di Granada dovette arrendersi, i musulmani continuarono a vivere in Spagna per un certo tempo, ma poi furono giustiziati o costretti ad andarsene dall’inquisizione.
L’impatto dell’Europa
Una nuova era nella storia dell’islam cominciò verso il 1500. Il navigatore portoghese Vasco de Gama, dopo aver passato il capo di Buona Speranza e scardinato il commercio musulmano sulla costa dell`Africa orientale, raggiunse l’India nel 1498. Ciò segnò l’inizio dell’impatto dell’Europa sulla parte orientale del mondo islamico. In Occidente gli Ottomani avevano restaurato il califfato caduto nel 1258, avevano conquistato gran parte dell’Europa sud-orientale e la costa meridionale del Mediterraneo durante i sec. XV e XVI ed erano in contatto militare e diplomatico, oltre che commerciale, con stati europei. Tuttavia la forza dell’influsso europeo si fece sentire in pieno solo dopo la rivoluzione industriale. L’invasione dell’Egitto da parte di Napoleone nel 1798 segna una data significativa.
L’impatto dell’Europa sul mondo islamico (cosi come sull’Asia e sull’Africa in generale) fu complesso: economico, politico, intellettuale e religioso.
Cominciò col commercio attraverso gli oceani e finì per trasformarsi in interferenza politica e, da ultimo, in colonizzazione. Con lo sviluppo della tecnologia europea nel secolo XIX, i musulmani più ricchi divennero desiderosi di godere dei suoi conforti e delle sue comodità, mentre sovrani indipendenti vollero dotare i loro paesi di ferrovie e altre forme di comunicazione, di impianti idrici, di elettricità per l’illuminazione, di telefoni ecc. Pure le forniture militari vennero ad occupare un posto di primo piano, con conseguente necessita di addestrare il personale per il loro uso. Le potenze coloniali introdussero anche un’istruzione di tipo occidentale per addestrare uomini a svolgere mansioni di secondo piano.
Dopo il 1800 le Chiese cristiane inviarono missionari in quasi tutto il mondo, ma nei paesi islamici fecero pochi convertiti e il loro maggior contributo consistette nel miglioramento dell’istruzione e dell’assistenza medica.
All’inizio del sec. XX musulmani intelligenti si resero conto di questa situazione. Diedero il via a movimenti per ottenere l’indipendenza politica e alla fine riuscirono nel loro intento. Fu avviato un qualche processo di industrializzazione basato sulla tecnologia occidentale. La maggior parte dei paesi musulmani adottò un sistema scolastico sostanzialmente occidentale, perché i capi religiosi non erano preparati ad adattare l’istruzione islamica tradizionale da essi controllata. La scoperta di grandi quantità di petrolio nel Medio Oriente venne inizialmente sfruttata dagli occidentali, ma poi, passata in mano ai governi musulmani, divenne un’arma nella politica mondiale. Sino alla fine della seconda guerra mondiale i paesi musulmani furono uniti nella lotta per liberarsi dal colonialismo. Ma da allora in poi una frattura sempre più evidente va delineandosi tra gruppi cosiddetti “Progressisti ” e gruppi “Conservatori”.
La vita del profeta Maometto
La vita di Maometto (Muhammad) è circonfusa di leggende. Che ce lo presentano come una specie di essere umano superiore e taumaturgico, la cui speciale chiamata da parte di Dio fu chiaramente evidente a tutti. Invece i fatti storici ci rivelano molto semplicemente un uomo. Un capo carovaniere cresciuto in dura povertà. Un padre che perse la maggior parte dei suoi figli, un commerciante moderatamente fortunato. Soprattutto ci fanno conoscere un uomo. Il quale percepì che Dio controlla da vicino ogni cosa, che egli è il principio e la fine di questo mondo e che tiene nelle sue mani la vita di ogni essere umano. Egli nacque verso il 570 d.C. a La Mecca, un centro commerciale e religioso prospero nel mondo arabo. Perse molto presto i genitori, sperimentò la miseria dell’orfano. Ma imparò anche a conoscere che cosa significa esser circondato da una comunità più ampia della famiglia. Dapprima fu allevato dal nonno e poi da uno zio. A venticinque anni guidava te carovane di una facoltosa commerciante. Khadigiah con tanto successo che ella gli offri di sposarla. Ora egli era ricco e, divenuto un cittadino influente di La Mecca, sembrava aver raggiunto il suo scopo. Ma non era soddisfatto della sicurezza materiale. Già prima aveva manifestato una predilezione per la solitudine. Molte questioni gli martellavano il cervello, l’inquietudine non gli dava pace, finché cadde in una crisi profonda. Si ritirò sempre più dagli altari e dalla famiglia, cercò la solitudine del deserto e qui si verificò l’evento che doveva cambiare la sua vita e incidere sulla storia del mondo. La notte del destino Muhammad ibn lshaq, il suo primo biografo, racconta gli eventi di quella notte. Maometto se ne stava solo sul monte Hira. «Ero disteso e addormentato», egli ricorda riportando le stesse parole del profeta «quando un angelo venne a me con uno scritto in mano e disse: ‘Leggi questo’, io risposi: “Non posso leggere”’. Allora egli la premette contro di me con tanta forza che pensai di morire. Quindi mi lasciò e disse di nuovo: ‘Leggi’. Ripeté il comando una volta ancora, e io risposi timidamente: “Che devo leggere?”. Egli disse: Leggi nel nome del tuo Signore, che creato e fatto l’uomo da un embrione. Leggi perché il tuo Signore è misericordioso come nessun altro sulla terra. Egli ha istruito l’uomo con la penna. Egli ha insegnato all’uomo quel che non sapeva.” Mi svegliai dal sonno, ed era come se queste parole fossero scritte nel mio cuore. Uscii dalla grotta e mi fermai in piedi sul lato della montagna. Allora udii una voce, che mi chiamava dal cielo: Maometto, tu sei il messaggero di Dio e io sono Gabriele’. Alzai gli occhi e lo vidi all’orizzonte. Non mi mossi. Quando cercai di guardare altrove continuai a vederlo.
Il profeta di Dio
Da quel momento Maometto fu sicuro di esser stato chiamato ad essere il profeta dell’unico Dio. Tornò a La Mecca e si mise a predicare agli angoli delle strade la risurrezione dei morti e il giudizio di Dio. «Dio vi giudicherà secondo le vostre opere» diceva ai commercianti della città, invitandoli a sottomettersi a Dio e a praticare l’amore verso i poveri, i carcerati, gli schiavi e i forestieri. Le sue parole fecero una certa presa sugli uditori. Ma molti altri cittadini di La Mecca lo ritennero un invasato o un rivoluzionario pericoloso e capirono subito che la sua predicazione era diretta contro il politeismo della città, meta di pellegrinaggi e principale fonte delle loro entrate. Sentendosi minacciati, cominciarono ad opporglisi, divennero via via più aggressivi e lo costrinsero a vivere in un ghetto insieme al piccolo gruppo dei suoi seguaci. Infine, dopo la morte della moglie, seguita a breve distanza da quella dello zio che lo aveva protetto, egli abbandonò la città. Come Abramo aveva abbandonato la patria per formare la nazione ebraica, cosi Maometto lasciò la città dei suoi padri e della sua famiglia e andò a Medina. Il 622 d.C., l’anno del suo viaggio, o Egira, segna l’inizio del calendario islamico. Da quel momento l’Islam non fu più solo una religione, ma anche un potere politico distinto. A Medina la comunità dei credenti divenne uno Stato, con Maometto quale suo capo religioso ai politico, e presero forma le pratiche religiose e sociali dell’islam. Maometto si attendeva che gli abitanti ebrei della citta l’avrebbero riconosciuto come profeta di Dio, ma dovette ricredersi. Cosi espulse e distrusse i clan ebrei. Quindi con l’aiuto di tribù arabe nomadi, comincio una serie di scorrerie armate contro La Mecca, finché nel 630 la conquistò senza difficolta. Circondato dai suoi seguaci in testa si diresse in groppa a un cammello alla Ka’bah, il centro dei pellegrinaggi, fece ripulire celermente la città di tutta le immagini e simboli della fede pagana, quindi si rizzo sulla sella e annunciò formalmente la fine dell’idolatria e l’inizio della nuova era dell’unico Dio. Nessuno si oppose e i vincitori non condannarono i loro ex avversari, La Mecca rimase il punto locale e la meta dei pellegrinaggi del nuovo Stato di Dio. Due anni più tardi Maometto capeggiò di nuovo un pellegrinaggio alla Ka’bah e di fronte a tutto il popolo proclamò l’ultimo messaggio di Dio. “Oggi ho completato la mia religione per voi e compiuto la misura del mio agire nei vostri riguardi. E mia volontà che l’Islam sia la vostra religione. Ho completato la mia missione. Vi ho lasciato il Libro di Allah e comandamenti chiari. Se li osserverete non vi accadrà nulla di male”. Quello stesso anno Maometto moriva.
Il quadro dottrinale
La fede
Sebbene la comunità musulmana presenti al suo interno numerose contraddizioni, la straordinaria ricchezza e varietà di queste ultime non mette in discussione alcuni punti fondamentali che costituiscono la base comune e inalterabile nella quale tutti i credenti si riconoscono e che danno a un mondo complesso e diversificato uno spiccato carattere di coesione e solidarietà,
I valori e gli insegnamenti di base ai quali l’intero Islam si richiama vanno anzitutto ricercati nel Corano, ritenuto diretta e definitiva rivelazione divina, e nella figura esemplare del Profeta del quale, la Sunna riporta innumerevoli detti e comportamenti riferiti ai soggetti più disparati,
Né il Corano né la Sunna però offrono un`esposizione sistematica delle verità nelle quali il musulmano è tenuto a credere né di quanto deve compiere, ma tanto gli articoli di fede quanto i vari precetti vi sono disseminati senza un ordine preciso e talvolta con alcune contraddizioni. L’elenco più completo dei principali articoli di fede e precetti islamici figura nel versetto 117 della sura 11 del Corano: “…la vera pietà è quella di chi crede in Dio, e nell`ultimo giorno, e negli Angeli, e nel Libro, e nei Profeti, e dà dei suoi averi, per amore di Dio, ai parenti e agli orfani e ai poveri e ai viandanti e ai mendicanti e per riscattare i prigionieri, di clii compie la Preghiera e paga la Decima, di chi mantiene le proprie promesse quando le ha fatte, di chi nei dolori e nelle avversità è paziente; questi sono i sinceri, questi i timorati di Dio!”. A partire da questi testi le verità fondamentali di cui trattano i teologi e che vengono riportate nei catechismi islamici sono: l’esistenza e l`unicità di Dio, la fede negli angeli, nei messaggeri divini, nei libri rivelati, nel Giudizio universale e nella predestinazione. Un musulmano potrebbe fermarsi alla prima enunciazione, ossia al dogma che afferma l’unicità di Dio, e sentire la sua fede già in esso tutta compresa. La professione di fede islamica (sahada) contempla però anche una seconda verità, alla, prima indissolubilmente legata: la missione profetica di Muhammad. E’ infatti il messaggio rivelato che offre alla fede il suo stesso contenuto, non essendo possibile all’uomo conoscere di Dio e della Sua volontà altro che quello che Egli ha manifestato attraverso l’insegnamento dei profeti e le scritture che ad essi ha affidato.
Sulla base del Corano la teologia islamica considera l’atteggiamento religioso profondamente radicato nell’uomo, il quale, nel servire Dio, porta a compimento la sua stessa vocazione: “lo non ho creato i ginn e gli uomini altro che perché Mi adorassero”, finalità connaturata agli esseri umani: “Drizza quindi il tuo volto alla vera Religione, in purità di fede, Natura prima in cui Dio ha naturato gli uomini”, legata a un misterioso patto primordiale concluso tra Dio e l’umanità ancor prima della creazione del mondo ” E rammenta quando il tuo Signore trasse dai lombi dei figli di Adamo tutti i loro discendenti e li fece testimoniare contro se stessi : Non sono Io, chiese, il vostro Signore? Ed essi risposero: Si, l’attestiamo!”
La natura, tuttavia, non può condurre da sola a conoscere completamente la verità: per questo è indispensabile la Rivelazione.
Se quindi la ragione è considerata necessaria, le fonti primarie della teologia restano il Corano e la Sunna, con un ordine di priorità inverso tra i due rispetto a quanto avviene nel campo del diritto, dove è la Sunna a prevalere, una preoccupazione giuridica sembra comunque imporsi anche nella teologia, cioè l’intento di classificare gli uomini in base alla fede e di definire in forza di essa una sorta di status giuridico: credente, peccatore, infedele sono cosi categorie che si ritrovano tanto nella dottrina quanto nella legge.
Un’ultima fonte della verità di fede infine è il consenso: ciò comporta la necessità di attendere che sulle questioni dottrinali si produca col tempo l’accordo della comunità o almeno dei dotti e dei teologi e la mancanza di un’autorità suprema rende quindi difficile, definire una vera e propria “ortodossia” islamica.
Per quanto l’assoluta libertà dell’agire divino riconosciuta dal1’Islam non consenta di confinare l’Assoluto negli angusti limiti della logica umana, non si deve credere che quello dei musulmani sia un fideismo cieco e del tutto disinteressato a ciò che potremmo definire la ragionevolezza della fede. Il Corano propone anzi con particolare insistenza l’invito a riflettere e torna sistematicamente ad elencare i segni (àyat) dell’azione di Dio, di cui il creato è continua manifestazione.
Un altro elemento che viene richiamato dal Testo sacro all’attenzione degli uomini, perché aderiscano alla predicazione di Muhammad, sono gli interventi di Dio nella storia: le vicende dei popoli che si sono allontanati dalla fede e che hanno rifiutato gli Inviati celesti provano l’autenticità dei messaggi a loro trasmessi. Un ultimo, ma non meno importante, fattore che dovrebbe indurre alla conversione è la stessa affermazione storica dell’Islam: il successo temporale è infatti considerato una prova del favore divino verso la comunità dei credenti.
Dio
Anche se i manuali di teologia propongono una serie di “prove” dell’esistenza di Dio, dalla gente comune la fede è considerata una necessità derivante dall’evidenza e non sono diffusi ateismo e agnosticismo, né indifferenza o tanto meno disprezzo verso la religione. Se l’esistenza di Dio non è quindi il punto su cui maggiormente si insiste, il principale dogma del credo islamico è quello della Sua unità e unicità e la professione di fede richiesta a chi voglia convertirsi non contiene altro che l’accettazione incondizionata di questa verità, rivelata per mezzo di tutti i profeti fino alla definitiva formulazione coranica trasmessa da Muhammad. L’insistenza su questo tasto è marcata al punto che il peccato capitale per l’Islam è ritenuto quello di sirk, vale a dire “associare” altri a Dio.
Più sorprendente è ritrovare lo stesso principio nelle teorie degli scienziati del Medioevo i quali, indagando sulla realtà dei fenomeni fisici, preferivano interpretarla come Sunnat Allah (consuetudine di Dio) piuttosto che come concatenazione di cause ed effetti. Pur nelle mutate condizioni dei rapporti tra scienza e fede, il pachistano Muhammad Abdus Salam, premio Nobel per la fisica nel 1979, si esprime in continuità con questa tendenza quando dice. “Il fatto che noi abbiamo cercato un’unità dietro l’apparente disparità della forze della natura, testimonia la nostra fede di fisici e, per quanto mi riguarda, la mia fede di musulmano”. E’ infine interessante notare che moltissimi movimenti islamici che nel corso della storia hanno preteso di restaurare il genuino spirito delle origini e la dottrina musulmana nella sua purezza, benché siano poi entrati nelle cronache con varie denominazioni, hanno scelto in realtà per definirsi il nome di muwahhidun, ossia “unitari”: difensori cioè del nucleo centrale e indefettibile del loro credo.
Sono numerosi e di enorme importanza i versetti coranici che ribadiscono questo principio chiave della fede islamica: ” Egli, Dio, è uno/ Dio, l’Eterno/ Non generò né fu generato/ e nessuno gli è pari. /Iddio stesso è testimonio che non c’è altro dio che Lui, e gli angeli, e i signori della scienza testimoniano ancora: Non c’è altro dio che Lui, il Governante con giustizia, il Potente, il Saggio! ln verità Dio non sopporta che altri vengano associati a Lui: tutto il resto Egli perdona a chi vuole, ma chi associa altri a Dio forgia suprema colpa”.
Come detto, quello dell’esistenza non è un attributo divino su cui si pone una particolare enfasi e i segni di Lui, più che prove della sua esistenza, sembrano configurarsi come una Sua manifestazione.
Per definire Dio si ricorre essenzialmente a “nomi e attributi” (al-asma wa al-sifat), che il Corano impiega abbondantemente al Suo riguardo. “Egli è Dio, non vi è altro Dio che Lui, Conoscitore dell`Invisibile e del Visibile, il Clemente, il Misericordioso, il Re, il Santo, la Pace, il Fedele, il Custode, il Possente, il Soggiogatore, il Grandissimo. Egli è il Creatore, il Plasmatore, il Forgiatore, Suoi sono i Nomi Bellissimi… Egli è il Possente sapiente”; la lista completa ne annovera 99: sono i celebri “nomi bellissimi” (al-asma al-husna) che i musulmani invocano sgranando tra le dita una sorta di rosario dal quale pare abbia avuto origine quello usato dai cristiani.
Molte delle questioni fondamentali della teologia musulmana possono essere ricondotte proprio ai contenuti implicati da questi nomi e attributi: il problema del libero arbitrio, ad esempio, consiste nel conciliare Potenza e Giustizia, a quest`ultima è ovviamente legata l’escatologia, come a Dio “che parla” sì riallacciano tanto la profetologia quanto la natura della rivelazione e via di questo passo. In questo quadro si inseriscono anche le discussioni concernenti l’incontro con Dio che viene prospettato nell’aldilà: “O uomo, che tanto ti protendi verso il tuo Signore, to lo incontrerai! Il punto dibattuto in particolare è quello relativo alla possibilità che avranno gli eletti di vedere Dio. Un passo del Corano parrebbe confermare questa ipotesi: ” Quel giorno vi saranno visi splendenti, al loro Signore miranti “. Ma altri sembrano negarlo: “Non l’afferrano gli sguardi ed Egli tutti gli sguardi afferra”; ” Rispose a Mosè: “Non mi vedrai…”.
Angeli, demoni e ginn
I primi sono spesso citati dal Corano, che li descrive come creature alate che si muovono tra cielo e terra in qualità di intermediari tra Dio e gli uomini. Creati per adorare Dio, essi sono il modello perfetto dell’obbedienza a Lui, che glorificano incessantemente e che servono in diverse forme. Una delle loro funzioni principali è quella di portare agli uomini messaggi da parte di Dio: ordini, ammonimenti, minacce… La stessa rivelazione viene comunicata da loro agli inviati, compito che in particolare è riservato a Gabriele, detto anche “spirito di santità” e “spirito fidato”, l’unico ad essere chiamato per nome nel Corano insieme a Michele e a Lalik, custode dell’Inferno. La tradizione fornisce i nomi anche di altri angeli particolari: Israfil, che suonerà l’adunata nel Giorno del giudizio, e Azrail, l’angelo della morte cui accenna il Corano e del quale sono fornite descrizioni terrificanti.
Altra importante missione affidata agli angeli è quella di annotare le azioni umane su appositi registri che saranno presentati a ciascuno nel giorno del Giudizio.
Nel Corano non si afferma che gli angeli abbiano anche il compito di custodire gli uomini, ma non mancano i loro interventi a favore dei credenti, a fianco dei quali possono anche prender parte a scontri armati contro gli infedeli.
Incaricati infine di richiamare l’uomo a dio al momento della morte, gli angeli prenderanno parte in vari modi al Giudizio e all’accoglienza degli eletti in Paradiso e dei dannati all’Inferno.
Gli angeli comuni (non cioè Gabriele e gli altri simili a lui) sono considerati un gradino sotto i buoni musulmani, ma superiori ai musulmani peccatori. Essi sono pertanto considerati impeccabili, benché tale qualità non sia assoluta. Difatti vi sono notevoli eccezioni: Harut e Marut, angeli decaduti di cui parla una legenda babilonese, e soprattutto Iblis, l’angelo ribelle divenuto capo dei demoni.
Vale la pena di ricordare il motivo per cui quest’ultimo incorse nella maledizione divina: dopo aver creato Adamo Iddio ordinò agli angeli di prostrarsi davanti a Lui, ma Iblis rifiutò di rendere omaggio a una creatura di tanto umili origini. Cacciato da Dio per la sua disobbedienza, da quel momento Iblis divenne il tentatore che inganna l’uomo e lo induce ad agire contro la volontà divina, fin dal peccato di Adamo ed Eva.
Infine il Corano parla anche dei ginn, spiriti che rappresentano le forze della natura, già venerati e temuti in epoca preislamica: creati di fuoco, prima dell’uomo, con quest’ultimo sono gli esseri intelligenti presenti sulla terra chiamati ad adorare il Signore e ad accogliere il Suo messaggio. I commentatori del Corano non esitano a ritenere i ginn destinatari della rivelazione quanto gli uomini. D’altra parte più di un passo del Testo sacro allude alla conversione di un gruppo di tali creature e l’intera sura del Misericordioso ha un ritornello ripetuto decine di volte rivolto, a parere dei commentatori, a uomini e a ginn.
I teologi si sono dunque preoccupati del problema del destino futuro di queste creature che saranno sottoposte come gli uomini al Giudizio finale. I giuristi ne hanno trattato nei loro manuali valutando la validità e le conseguenze dei loro rapporti con gli esseri umani.
Profeti e inviati
Ogni popolo ha ricevuto messaggeri divini: “non vi è nazione in cui non sia stato già un Ammonitore in antico”. Il Corano infatti ne offre una lunga lista che comprende, oltre ad alcuni profeti inviati agli arabi prima di Muhammad, anche molte figure riprese dall’antico e dal Nuovo Testamento, benché nella Bibbia non sia sempre riconosciuta ad esse la qualifica di profeta: Adam, Nuh (Noè), Ibrahim (Abramo), lsmail (Isamele), Ishaq (Isacco), Lut (Lot), Ya qub (Giacobbe), Musa (Mosè)… Isa (Gesù).
Nonostante le virtù ad essi riconosciute e persino i miracoli ad alcuni attribuiti, costoro sono considerati uomini come gli altri, che possono commettere peccati anche gravi, ma preservati da ogni errore nella trasmissione del messaggio a loro affidato da Dio, che custodisce l’integrità della Sua parola.
Chiamato a provare la veridicità della propria missione, un profeta può compiere dei miracoli, ma ad essi non viene attribuita una soverchia importanza dalla teologia, che li considera semplicemente interruzioni dell’abituale operare di Dio, non soggetto ad altre leggi che non siano il Suo stesso volere: in questo quadro l’eccezionalità del fatto continua a costituire una sorpresa e un prodigio per gli uomini, ma da parte di Dio non rappresenta alcunché di speciale.
Questi personaggi non sono però tutti latori di una vera e propria rivelazione: alcuni ricevono un’ispirazione personale e sono semplici ammonitori e modelli per il loro popolo, ad altri invece è affidato un vero e proprio messaggio e il compito di far conoscere la legge divina: è il caso dei cinque inviati- legislatori Noè, Abramo, Mosè, Gesù e Muhammad. Queste diverse funzioni hanno portato a una distinzione e specializzazione dei termini impiegati per definire tali personaggi; la teologia ha infatti riservato la denominazione di inviato (rasul) a quelli cui e affidato un testo rivelato, mentre qualifica come profeta (nabi) tutti gli altri. Ogni rasul è quindi anche nabi, ma un nabi non è necessariamente rasul, benché nel Corano la distinzione non sia altrettanto netta e precisa. In buona sostanza il contenuto ultimo della loro predicazione è sempre il monoteismo, anche se ciascuno non soltanto conferma quanto trasmesso dai predecessori, ma in parte lo rettifica (non nell’essenziale, ma in alcune applicazioni abrogate e sostituite da altre) e lo perfeziona fino alla rivelazione completa e definitiva di Muhammad, sigillo dei profeti. La profezia è quindi una necessità e sul suo valore le varie scuole concordano, ma sono significative alcune differenze che emergono in proposito: mentre alcune credono l’uomo capace di riconoscere l’esistenza di Dio e di distinguere il bene e il male mediante la ragione e ritengono quindi la rivelazione come un completamento della natura, altre considerano rivelate non soltanto le verità di fede ma addirittura ogni conoscenza e fanno risalire a insegnamenti divini trasmessi dai profeti 1’origine di tutte le arti e le scienze. Le prime inoltre, in base al principio che Dio sarebbe tenuto a fare il meglio per le proprie creature, pensano che la rivelazione sia inevitabile, mentre altre vedono in essa un forma di misericordia, possibile ma non necessaria, da parte di Dio che non è obbligato a nulla.
Un problema particolare è rappresentato dalla questione relativa alla salvezza di quanti siano vissuti nell’intervallo tra l’invio di due profeti: tra i ” Mu taziliti, che ritengono valga per essi la ragione che può condurli alla fede in Dio e al rispetto di una sorte di morale naturale, e gli asariti, che li destinano a un luogo intermedio tra Inferno e Paradiso, si distingue la posizione del mistico Al-Gazali il quale ritiene giustificati gli infedeli a patto che seguano ciò che ritengono vero e giusto, anche se rifiutassero di credere nella missione di Muhammad perché presentato loro sotto una cattiva luce. Le forti analogie con la Bibbia riscontrabili nella presentazione che il Corano fa degli inviati e profeti di Dio, si accompagnano a forti differenze. In particolare ciò è determinante a proposito di Gesù, definito dal Testo santo dell’Islam come il Messia figlio di Maria, da lei concepito per intervento divino, profeta e inviato di Dio, apportatore di una rivelazione (il Vangelo), che è guida e luce per gli uomini. Ultimo tra i profeti che precedettero Muhammad, ne avrebbe preannunciato la venuta. Gli sono attribuiti vari miracoli, sia durante l’infanzia, sia da adulto e viene menzionata la prodigiosa discesa dal cielo, dietro sua invocazione, di una mensa imbandita che si potrebbe riallacciare oscuramente all’eucarestia. Il Corano nega però esplicitamente che egli fosse Dio o figlio di Dio e facente parte della trinità, tutti concetti indebitamente a lui attribuiti dai suoi seguaci, i quali sostengono anche falsamente che egli sia stato crocifisso. Ciò è smentito dal Corano quando afferma che fu invece misteriosamente salvato da
Dio e che quando tornerà sulla terra alla fine dei tempi e durante il Giudizio sconfesserà coloro che hanno voluto divinizzarlo.
E’ definito “parola di Dio” e frutto del suo “spirito”, ma tali termini sembrano riferiti soprattutto alla sua nascita prodigiosa e, anche insieme agli altri privilegi riconosciuti dal Corano, non cambiano in sostanza il carattere unicamente “umano” del Gesù islamico, cui la tradizione e la teologia musulmane si sono sempre attenute, mentre i mistici hanno visto a volte in lui un modello di santità e un ideale di unione tra umanità e divinità uguale se non perfino superiore a Muhammad stesso.
Libri rivelati
Dal riconoscimento dei profeti e degli inviati che hanno preceduto Muhammad deriva quello dei loro messaggi e quindi dei libri rivelati anteriormente al Corano. L’Islam dunque ammette una pluralità di Scritture che vanno dai non meglio precisati “fogli” di Abramo e di Mosè di cui parlano alcune sure coraniche fino ai veri e propri libri menzionati più tardi: la Torah di Mosè, i Salmi di Davide e il Vangelo di Gesù. Non si tratta però di testi ispirati: i profeti non ne sono in alcuna misura autori o coautori. La rivelazione, conforme a un archetipo celeste conservato presso Dio su una “Tavola ben custodita “, “scende” sull’inviato, generalmente trasmessa da un angelo, ed egli ha semplicemente il compito di ripetere il messaggio che, tanto nel suo contenuto quanto nella sua forma, è completamente e unicamente di origine divina.
La dinamica della rivelazione è per i musulmani costituita da una serie di passi in cui il successivo ricapitola e supera i precedenti: il valore di questi ultimi ne risulta pertanto ridimensionato e comunque non più attuale.
Il Profeta è espressamente esortato a non mettere nulla di proprio nella recitazione del Testo rivelato, senza pretendere di forzarne o interpretarne il contenuto: “E tu, non muover lingua ad affrettarlo, a Noi spetta comporlo e recitarlo, quando lo recitiamo segui la Nostra recitazione, a Noi poi spetta spiegarlo” Sulla trasmissione del messaggio celeste la volontà divina regna sovrana, senza alcuna interferenza da parte del Profeta, determinando perfino quali parti saranno da lui ricordate e quali dimenticate: “Ti faremo recitare il Corano e non ti scorderai se non ciò che Iddio vorrà; il palese e l’occulto infatti Egli conosce”.
Nella stessa logica rientra un meccanismo ben noto al diritto musulmano: il fatto che nel Corano esistano disposizioni diverse e talora contradditorie non ha posto particolari problemi a chi considera Dio talmente libero e trascendente da non dovere sottostare ad alcuna regola che non sia la propria volontà, né fornire spiegazioni del proprio operato: “E quando scambiano un versetto con un altro dicono ‘ Ecco, tu sei un falsario! ma i più di loro non sanno”, “Noi non abrogheremo, né ti faremo dimenticare alcun versetto senza dartene uno migliore o uguale: non sai dunque che Dio è onnipotente?” La necessità di stabilire quale norma tra le varie sia da considerarsi quella valida ha indotto a sviluppare studi esegetici per determinare quale versetto sia stato rivelato per ultimo e abbia quindi abrogato i precedenti.
Ultimo Giorno
Imminente viene detta dal Corano l’ora del giudizio che incombe in una delle più antiche sure, ove maggiori sono i riferimenti agli eventi che seguiranno la fine del mondo. Con un’immagine nota anche ad altre tradizioni religiose, il Giudizio finale vi è descritto come l’adunanza di fronte a Dio dell’intero genere umano, ripartito in differenti schiere: quella degli eletti, alla destra del Signore, e quella dei dannati, alla sua sinistra, cui viene aggiunta la categoria dei “precursori”, per lo più identificati con coloro che per primi hanno aderito alla fede, meritevoli di una ricompensa speciale anche se non ben definita. Nonostante la sua insistenza sui temi escatologici, il Corano non basta per rispondere ai molti interrogativi che possono sorgere in proposito. E’ indispensabile ricorrere alla Sunna e alle elaborazioni dei dotti per avere qualche elemento in più. Morte e risurrezione implicano infatti importanti questioni su cui il Testo sacro non si esprime: la distinzione tra anima e corpo, ad esempio, non compare nel Corano, ma si ritrova nei teologi e nei filosofi. Anticamente i primi erano propensi a considerare i due elementi entrambi mortali, mentre i secondi ritenevano tale soltanto il corpo. In seguito prevalse l’idea dell’anima immortale. L’oscuro periodo tra morte e risurrezione viene poi riempito da eventi sui quali il Corano tace completamente o fornisce al massimo qualche vaga allusione. Hadit antichi si diffusero al riguardo, parlando in particolare dell’interrogatorio e del tormento del sepolcro. Su certi incerti cenni del corano si fonda la credenza che angeli, Munkar e Nakir, interrogheranno il defunto a proposito della sua fede e delle sue opere, stabilendo in base alle risposte un premio o una pena immediati di cui ciascuno godrà o patirà temporaneamente, nell’attesa della fine del mondo, della risurrezione finale e del giudizio definitivo.
Sui segni che precederanno tali eventi sono ancora una volta la Sunna e la teologia per così dire minore e vicina al sentimento popolare a dare una serie di dettagli taciuti dal Corano, che allude soltanto al ritorno di Gesù, alle devastazioni operate dai misteriosi barbari di Gog e Magog e all’apparizione di una non meglio precisata “bestia” alla quale i commentatori hanno voluto dare strane funzioni, tra cui quella di segnare fra gli occhi degli uomini il marchio della fede o della miscredenza. Tra gli avvenimenti che si aggiungono alle scarse indicazioni coraniche relative agli avvenimenti che annunzieranno l’avvicinarsi della fine del mondo va segnalata anzitutto la comparsa del Mahdi, ossia il “ben guidato”, e quale antagonista di Mahdi si prevede anche la comparsa del Daggal, ossia l’impostore, una sorte di Anticristo. Si ritiene inoltre che il sole sorgerà da occidente, che un denso fumo avvolgerà ogni cosa per novanta giorni, che la Ka’bah verrà distrutta, il Corano dimenticato e si diffonderà la miscredenza. Seguirà la distruzione del mondo, che sarà totale. Infatti, come afferma il Corano, “tutte le cose periscono salvo il Suo volto”; “Tutto quel che vaga sulla terra perisce e solo resta il Volto del Signore, pieno di Potenza e di Gloria”.
Il giudizio che seguirà sarà basato sull’operato e la fede di ciascuno. Interminabili discussioni si sono sviluppate intorno al valore essenziale o secondario delle opere in vista della salvezza e le posizioni espresse in proposito sono le più diverse. Alcuni ritengono che soltanto il peccato di politeismo (sirk) comporti la condanna, all`opposto di quanti pensano invece che un solo peccato grave basti ad annullare qualsiasi numero di buone azioni. Nella complessa contabilità che si è voluta stabilire circa la valutazione degli atti di ciascuno che avverrà tramite una bilancia di cui il Corano parla esplicitamente, non stupisce se alla fine interverrà come elemento determinante e imprevedibile il giudizio di Dio che mal sopporta di venire ingabbiato negli angusti schemi del nostro argomentare. Legata al problema della retribuzione c`è un’altra questione molto dibattuta, ossia quella della possibilità che il Profeta o altri possano intercedere presso Dio a favore dei credenti. Il Corano sembra escluderlo del tutto per gli infedeli. L’Altissimo infatti avrebbe detto a Noè” non mi parlare in favore di quelli che furono iniqui, perché essi tutti saranno inghiottiti dalle acque”; e nelle descrizioni dell’inferno troviamo sulle labbra dei dannati espressioni come “ora non vi è per noi intercessore”. Altrove, in favore dei credenti, viene invece ammessa questa possibilità: “non otterranno intercessione altro che quelli che hanno stretto un patto col Misericordioso”, ma sempre sottoposta al permesso di Dio; “ln quel giorno a nulla serviranno intercessioni, eccetto di colui cui lo permetterà il Misericordioso e sia a Lui accetto il suo dire”. In generale si può dire che l’Islam non ammette la compartecipazione alla colpa e rifiuta quindi l’idea del peccato originale: la disobbedienza di Adamo non macchierebbe singolarmente anche i suoi discendenti, né si accetta che sussista una sorta di solidarietà in questo campo: “temete un Giorno nel quale nessuna anima potrà pagare per un`altra in nulla e non sarà accettata intercessione di nessuno, né compensazione, e i malvagi non troveranno aiuto” La pietà popolare ha però molto superato questi limiti, attribuendo non soltanto al Profeta e agli angeli, ma anche a una folta schiera di personaggi in odore di santità la possibilità di intervenire presso Dio a vantaggio dei credenti. Le varie tappe del Giudizio, dopo la risurrezione dei morti e il raduno di tutti al cospetto di Dio, prevedono il dispiegamento dei rotoli sui quali gli angeli hanno annotato le azioni degli uomini, la pesata di queste ultime su un`apposita bilancia e l’attraversamento di un sottilissimo ponte disteso sopra l’abisso infernale che soltanto gli eletti riusciranno a oltrepassare. Ampio spazio è dato alla descrizione delle delizie e delle pene dell’aldilà: in generale nel Paradiso, raffigurato simile a un giardino, predominano fresche acque e rigogliosa vegetazione, mentre l’Inferno è presentato come un torrido e tenebroso luogo di tormenti.
La visione di Dio è ritenuta da molti come il premio supremo, anche se la discussione su “se” e “come” essa sia possibile ha suscitato in ambito islamico maggiori problemi che le altre ricompense celesti, coinvolgendo la questione della trascendenza divina confrontata con una sorta di “sua fruizione” da parte delle creature.
Predestinazione
Sottoposto alla riflessione razionale il Corano presenta una serie di aporie, soprattutto per quanto concerne il problema della predestinazione e del libero arbitrio, dell’onnipotenza divina e della responsabilità dell’uomo. Il Corano lo afferma instancabilmente, ma altrove, e con altrettanta insistenza, esso afferma che nulla avviene senza la volontà di Dio, e l’ostinazione stessa dei peccatori ha origine da Lui. Ecco alcuni esempi di versetti che sembrano affermare chiaramente il libero arbitrio: “Chiunque fa del male, e poi chiede perdono a Dio, troverà Dio indulgente e pietoso. Chiunque si acquista una colpa se la acquista contro se stesso e chiunque si acquista un errore o un peccato e poi lo rigetta su un innocente, si carica di una calunnia e di un peccato evidente. Chi è veggente lo è a suo vantaggio, chi è cieco lo e a suo danno: Io non sono il vostro custode. Iddio non muta mai la sua grazia ad un popolo, avanti che essi non mutino quel che hanno in cuore” Altri invece sembrano negarlo: “Dio se avesse voluto vi avrebbe guidati tutti al Vero. Ora chi vuole scelga verso il Signore la sua Via. Ma se non vuole Iddio non lo vorrete. Perché Dio è savio e sapiente! E abbiamo attaccato al collo di ogni uomo il suo destino e il dì della Resurrezione gli mostreremo un rotolo che troverà dispiegato a sé davanti”.
Se dunque il problema esiste e non è di scarso rilievo, va però tenuti presente che nella sensibilità dei credenti l’idea dell`assoluta potenza divina convive con la coscienza della necessità di un impegno personale a una condotta coerente con i principi della fede. A questo tema si riallaccia quello del male, ma a tale proposito è bene ricordare che per un musulmano puro il problema del male non è un problema. In altre parole il Male non esiste, essendo – al pari del
Bene – opera di Dio. Contrario ad ammettere qualsiasi principio che limiti l’assoluta onnipotenza divina, l’Islam rifiuta cioè di considerare il male come una forza estranea e indipendente da Dio e non accetta la completa autonomia dell’agire umano. Possono cioè accadere cose contrarie agli ordini di Dio, ma non sottratte alla Sua volontà. Causa prima ed unica di ogni avvenimento.
Le pratiche culturali
I cinque pilastri della fede
Una tradizione attribuita al Profeta afferma che egli avrebbe detto:” L’Islam è che tu testimoni che non c’è altro Dio che Iddio e che Muhammad è il Messaggero di Dio; che tu compia la preghiera rituale, versi l’elemosina, digiuni nel mese di ramadan e faccia il pellegrinaggio alla Casa, se ne hai la possibilità “Sono questi i cinque precetti fondamentali del culto musulmano conosciuti come i “pilastri dell’Islam” (arkan al-Islam). Ad essi è sempre stata attribuita un’enorme importanza: lo scrupoloso adempimento di queste pratiche contraddistingue i credenti più devoti, ma la loro validità non viene comunque messa in dubbio neppure dai meno praticanti.
Il fondamento di questi atti di culto non riposa del resto su convenzioni umane ma su esplicite disposizioni divine: si tratta dei “diritti di Dio” (huquq Allah) sanciti dal Corano e dall’insegnamento del Profeta) Nell’Islam pertanto non c’è posto per alcuna riforma liturgica: poiché si tratta di diritti di Dio nei confronti degli uomini: è Lui che ha fissato i ritmi e le forme ed essi sono immutabili.
La professione di fede (sahada)
La professione di fede (sahada) è l’enunciazione delle due verità fondamentali dell’Islam, non c’è altro Dio a eccezione di dio e Maometto è il suo inviato. L’unità e l’unicità di Dio sono il fulcro dell`intera teologia islamica. La seconda parte della professione di fede inserisce l’Islam tra le religioni rivelate e implicitamente rimanda all’intera vicenda dei profeti e degli inviati di Dio che si sarebbe compiuta e conclusa con Maometto: “sigillo dei profeti” Questa formula va pronunciata di fronte a testimoni da parte di chi intenda convertirsi all’Islam ed è ripetuta in moltissime occasioni: preghiere, cerimonie, feste.
La preghiera rituale
La preghiera rituale (salat) non libera e spontanea preghiera devozionale ma preghiera canonica e obbligatoria, viene ripetuta cinque volte al giorno in orari prestabiliti (alba, mezzogiorno, pomeriggio, tramonto, sera) Il Corano non specifica esattamente quante volte e quando debba essere compiuta. Tutte queste cose sono state fissate in seguito dalla tradizione.
Il richiamo alla preghiera viene gridato dal muezzin dall`alto del minareto, ma oggi è diffuso anche con altoparlanti e trasmesso per radio e per televisione.
Per accostarsi alla preghiera bisogna esser in stato di purità rituale, da ciò deriva la necessita di fare abluzioni per cui i luoghi di culto hanno sempre annesso un cortile con delle fontane dove è possibile lavarsi secondo un preciso cerimoniale.
Nei casi di impurità maggiore le semplici abluzioni non bastano ed è richiesto un bagno completo.
Quando non è fatta nella moschea, la preghiera è compiuta su un tappeto o in uno spazio comunque delimitato e separato, rivolti verso la direzione (qibla) della Mecca. In tutte le moschee vi e una nicchia (mih rab) che indica tale direzione.
Tra i passi coranici recitati durante la preghiera vi e la l sura, una sorte di Pater Noster islamico:” Nel nome di Dio, clemente, misericordioso! Sia lode a Dio, il Signore del creato, il clemente, il misericordioso, il padrone del di del giudizio! Te noi adoriamo. Te invochiamo in aiuto, guidaci per la retta via, la via di coloro sui quali hai effuso la tua grazia, la via di coloro con i quali non sei adirato la via di quelli che non vagano nell’errore”
La preghiera del venerdì e particolarmente importante per due motivi:
- è un atto pubblico a cui i musulmani tengono molto perché manifesta la coesione della comunità
- durante questa preghiera l’Imam sale sul pulpito (minbar) e pronuncia un sermone (hutba) nel quale si prega anche per l’autorità costituita.
Accanto a questa vi è però anche la preghiera libera che si è molto sviluppata nella mistica musulmana (sufismo) il teocentrismo radicale del Corano favorisce la mistica intesa come distacco dal mondo per avvicinarsi all`unica e vera realtà di Dio. La trascendenza assoluta di quest’ultimo però costituisce una sona di limite insormontabile che blocca l’itinerario della mistica. I punti che sembrano favorirla infatti hanno tutti un polo segno opposto: Dio è vicino ma inaccessibile; l’ascesi e apprezzata ma non e richiesta anzi è visto con sospetto il superamento dei limiti della natura umana
Per questo la mistica è un capitolo importante ma molto controverso L`Islam ha dato al mondo alcuni tra i maggiori mistici, ma gli ambienti “ortodossi” non hanno mai del tutto superato alcune riserve di fondo.
Nell’Islam non si incoraggia un’esperienza diretta di Dio per preservarne la trascendenza.
Le persone dotate di una forte religiosità però non si sentono appagate dall’adesione ai semplici precetti e in ogni epoca hanno inventato e seguito pratiche supplementari a quelle prescritte. Una di queste è lo “dikr” termine arabo che significa “menzionare ricordare”. Il Corano stesso lo impiega per esortare i fedeli a nominare sovente Iddio e a fare memoria di Lui. Presso i mistici musulmani ha pero assunto un significato più tecnico e indica una particolare forma di concentrazione e meditazione orante che consiste in una serie di formule da ripetere ad alta voce oppure solo mentalmente che variano a seconda della confraternita di appartenenza e in base allo stadio di iniziazione di chi le pratica.
Spesso alcuni movimenti del corpo, che possono essere anche vere e proprie danze con particolari accompagnamenti musicali sono abbinati a tali recitazioni.
Ad ogni modo indipendentemente dalla loro adesione a una confraternita mistica, i musulmani amano ricorrere a formule coraniche nelle più varie circostanze della vita.
Tra gli altri, celebre e di grande bellezza è il versetto del trono, il numero 255 della sura II. Spesso impiegato come invocazione di benedizione:
“Dio! Non vi è altro Dio che Lui, il vivente che di sè vive, non lo prende mai sopore né sonno a
Lui appartiene tutto ciò che è nei cieli e sulla terra. Chi mai potrebbe intercedere presso di Lui senza il suo permesso? Egli conosce ciò che e avanti a loro e ciò che e dietro di loro, mentre essi non abbracciano della sua scienza se non ciò che Egli vuole. Spazia il suo trono sui cieli e sulla terra, né lo stanca vegliare e custodirli: e l`eccelso, il possente!”
L’elemosina (zakah)
L’elemosina legale (zakat), destinata all’aiuto delle persone bisognose e a necessita pubbliche, è intesa come purificazione e pratica di distacco dai beni terreni. Si tratta di una vera e propria tassa applicata su determinati beni e non semplicemente di un atto volontario lasciato all’iniziativa del singolo.
La legge determina con precisione l’ammontare dell’imposta e le categorie dei beneficiari, anche se vi sono differenze tra le diverse scuole giuridiche e se gli stati moderni hanno in molti casi fatto cadere in disuso questo sistema di tassazione tradizionale.
Nelle regioni povere, pur nella ristrettezza dei mezzi e nella mancanza di una vera organizzazione nella raccolta della zakat i buoni musulmani mantengono, nei limiti delle loro possibilità, la fedeltà a questa pratica: un pugno di riso ogni dieci viene messo da parte per esser raccolto nella moschea dove resta a disposizione dei bisognosi.
Il digiuno (sawm)
Il digiuno (sawm) è prescritto per ogni musulmano sano e adulto durante il Ramadan, mese del calendario islamico che segue le tasi lunari. Essendo l`anno lunare più corto di quello solare i mesi non cadono sempre nella stessa stagione. Quando cade nel periodo estivo il digiuno e particolarmente duro poiché oltre ai cibi al fumo e ai rapporti sessuali sono interdette anche le bevande, durante tutte le ore di luce del giorno
Vero tempo forte dell`anno, il ramadan è tra i precetti islamici quello forse maggiormente sentito tanto a livello individuale quanto a livello di gruppo. Per i giovani che iniziano a praticarlo costituisce una sorte di fase di iniziazione al mondo degli adulti e a una vita religiosa più profondamente e consapevolmente vissuta. L`immagine di coesione sociale che esso trasmette renderebbe particolarmente stridente il comportamento di quanti non vi si uniformassero pubblicamente e per le pur pesanti conseguenze di questa pratica devozionale sulla vita produttiva dei paesi islamici non hanno finora costituito una motivazione sufficiente a distaccarsene. Dopo le due astinenze del giorno, le serate sono al contrario momenti di festa e viene raccomandato ai fedeli di riunirsi con parenti e amici per consumare coralmente e in letizia il pasto che segue il tramonto. Non mancano risvolti consumistici, come per il nostro Natale, ma i luoghi di culto restano aperti durante la notte e numerosi fedeli partecipano a veglie di preghiera e di ascolto del Corano.
Alla fine del mese di Ramadan si svolgono determinate celebrazioni a conclusione del digiuno, una preghiera comunitaria particolare, un’elemosina speciale e la “piccola festa” così denominata per distinguerla da quella maggiore che conclude invece il mese del pellegrinaggio.
Durante la preghiera della rottura del digiuno, oltre alla sura del Corano già citata, si recitano queste altre due sure.
- la 87 (sura dell’Altissimo): “Nel nome di Dio, clemente misericordioso! Glorifica il none del tuo Signore l’Altissimo che creò e plasmò, poi decise e guidò e poi fece germinare l’erba dei pascoli e poi fece secca stoppia. Ti faremo declamare il Corano e tu non lo dimenticherai e ti spianeremo la via verso la prosperità. Ammonisci dunque, che utile sarà il monito. Lo accoglierà chi teme. Lo Fuggirà il malvagio che brucerà nel fuoco immenso ma non vi morrà ne vivrà, prospererà chi si purificherà – il nome del Signore ripeterà preghiera. Ma voi preferite la vita terrena ma è l’altra che e più bella, più lunga. Che queste cose son tutte scritte nelle pagine antiche, le pagine di Mosè e di Abramo.
- la 91 (sura del sole): Nel nome di Dio, clemente misericordioso! Per il sole e la luce del mattino! Per la luna quando lo segue! Per il giorno che chiaro lo mostra! Per la notte quando lo avvolge di un velo! E poi il cielo e chi lo innalzò per la terra e chi la spianò per l’anima e chi la plasmò e pietà e empietà le ispirò! Certo prospererà chi la purificherà e perirà chi la corromperà.
Il Pellegrinaggio (hagg)
Il pellegrinaggio alla Mecca a cui è tenuto ogni musulmano che abbia mezzi e salute almeno una volta nella vita e l’ultimo dei cinque pilastri del culto islamico?
Tra i riti islamici e quello che ha radici più profonde nella civiltà araba antica e rivela la straordinaria capacita di Maometto nel porsi in continuità con le tradizioni della sua gente pur introducendo decisivi elementi di novità con la sua predicazione. Il pellegrinaggio islamico, purificato dagli aspetti idolatrici ristabilisce la centralità della Mecca e dopo il sofferto distacco dall’egira e dagli anni del conflitto armato segna la ripresa del legame fra Islam e cultura araba destinato col tempo a crescere e ad articolarsi sempre di più. Anche la sua funzione di momento unificatore delle varie componenti della società che gravita attorno al tempio è rimasta: se prima si trattava delle tribù nomadi dell’Arabia, oggi sono le etnie, gli stati, le culture che fanno riferimento all`Islam ritrovandosi annualmente nella città del profeta e nel tempio di Dio per rinsaldare i motivi della loro solidarietà e dare al mondo l’immagine della loro coesione.
Esiste un mese specifico per il pellegrinaggio che, come il Ramadan, segue il calendario lunare.
Come per tutti gli altri atti di culto sono richieste l’intenzione (niyya) e la purità rituale. I luoghi ove si svolge sono ricollegati dalla tradizione islamica alla figura di Abramo che sarebbe stato l’edificatore della Ka’bah edificio cubico posto al centro della grande moschea della Mecca su un lato del quale è incastonata la celebre pietra nera, probabilmente un meteorite sopravvissuto alla distruzione degli idoli compiuta da Maometto dopo il suo ritorno alla Mecca, considerata oggi “la mano di Dio sulla terra”.
Durante i complessi riti che lo impegnano per diversi giorni ogni pellegrino indossa un abito formato di teli bianchi senza cuciture. Di fronte a Dio non hanno infatti alcun valore le differenze di razza o di censo e l’abbigliamento riflette la dipendenza di ciascuno rispetto al suo Signore e l’uguaglianza di tutti di fronte a lui. Alla fine del dei pellegrinaggio si celebra la maggior Festa del mondo musulmano con preghiere particolari e l’immolazione di un montone in memoria di quello offerto da Abramo al posto del figlio che egli era pronto a sacrificare a Dio.
Principi etici
Ogni comportamento della vita dei musulmani è regolato dalla legge. Ogni azione viene giudicata secondo le cinque categorie fondamentali che sono:
- Il dovere;
- Il consiglio e la raccomandazione, che dipendono dalla Sunna:
- Il permesso; cioè se l’azione viene consentita dalla legge;
- L’azione neutrale o indifferente, cioè le azioni che non hanno nessun riflesso sulla legge;
- Il divieto, cioè la proibizione di compiere azioni contrarie alla Legge.
I doveri religiosi sono ritenuti più rilevanti di quelli civili; di conseguenza l’infrazione della normativa religiosa è considerata più grave. Le molte scuole esegetiche danno alla Legge e alla sua interpretazione una sistemazione organica per quanto riguarda la casistica dei doveri. Tra l`altro, il fedele è tenuto all’osservanza dei cinque pilastri del culto e ha l’obbligo di partecipare alla guerra santa per convertire i non credenti alla volontà di Allah.
L’uomo è responsabile delle sue azioni, perché agisce di sua volontà. Di tutto ciò che avrà il merito o il demerito. Il pio musulmano è molto attento agli interdetti alimentari di origine coranica: non beve vino o liquori, non mangia carne di maiale o di un animale non ucciso ritualmente, non si ciba di sangue, simbolo della vita.
L’impegno etico induce a praticare nella vita quotidiana i consigli di Maometto circa il perdono; la sincerità, la moderazione nelle ricchezze, la giustizia, l’equilibrio, la capacità eli stare zitto, il buon esempio, l`apprendimento. Egli organizza la sua vita familiare secondo le leggi coraniche nelle quali vede il fondamento della società, anche se la poligamia pone in una posizione di inferiorità la donna, e il figlio è collegato in maniera esclusiva al padre.
Le scuole esegetiche tentano di rimediare a tale situazione, in aperto contrasto con le attuali rivalutazioni sociali del ruolo femminile, con una serie di codici di comportamento familiare, ma i risultati ancora deludono. Il musulmano si sforza di rispondere coerentemente a tutte le esigenze della sua religione sottoponendosi con spirito di obbedienza al servizio di Dio che gli indica la retta via attraverso le leggi del Corano. Conoscere la Legge ed amarla è il compito primario del buon musulmano.
Le sacre scritture
Il Corano
Fedeli alla consuetudine della tradizione orale e contrari a discostarsi dall’esempio di Maometto, i musulmani non sentirono il bisogno di mettere per iscritto il testo sacro che fu, per un certo tempo, mandato a memoria.
L’assottigliarsi delle file di quanti avevano potuto sentire la rivelazione coranica dalla viva voce del profeta e il timore che potessero diffondersi versioni differenti del messaggio divino portarono alla redazione di un testo unico sotto il terzo califfo ‘Utman.
Restavano aperti alcuni problemi relativi alla divisione delle sure, alla numerazione dei versetti e soprattutto alla vocalizzazione del testo (l’Arabo infatti e lingua consonantica e le vocali generalmente si omettono nella scrittura, lasciando al lettore il compito di riconoscerle e di pronunciarle correttamente: da ciò derivano casi di letture diverse di uno stesso versetto vocalizzato in due modi ugualmente ammissibili che furono risolti solo più tardi. Dai futuri sviluppi di questo avvenimento, risulta più chiara l’importanza dell’egira nella storia dell`Islam.
Con questo gesto il profeta c i suoi compagni recisero i legami di sangue che li vincolavano alle loro tribù, trovandosi quindi virtualmente privi dell’unica garanzia di protezione esistente nella società del tempo, ma al posto di quella sancirono un vincolo superiore, affermando che tutti i credenti costituiscono una nazione (umma) unita al suo interno e distinta da tutte le altre.
Con l’egira dunque si posero le basi del superamento di un ristretto ordine sociale e si manifestò il carattere totalizzante che fino ad oggi contraddistingue la fede islamica: quella globalità in forza della quale questioni spirituali e temporali, religione e politica non sono nettamente distinte. Lo stesso ruolo del profeta si completò con le funzioni di leader e di capo militare, per noi tanto sconcertanti e il Corano modifico il suo stile e i suoi contenuti dovendo Fornire non più solo insegnamenti ed esortazioni, ma norme e leggi per regolare la vita del singolo e della comunità.
Sulla parola di Dio (Corano) e sull’esempio vivo del profeta (sunna) si costruì, in un tempo relativamente breve, il grande edificio del diritto musulmano, uno dei frutti più originali della civiltà islamica, sintesi di esigenze pratiche e di principi generali, di usi locali e precetti divini.
Così come il diritto, anche il credo e il culto affondano le loro radici in queste due fonti principali, Corano e sunna, la conoscenza delle quali è indispensabile per accostarsi all’Islam.
Tardi e che comunque hanno lasciato aperta l`interpretazione di alcuni passi che però non riguardano aspetti fondamentali del credo.
Una volta messa per iscritto la rivelazione, anche il resto della letteratura araba subì il medesimo destino i testi degli antichi poeti avrebbero costituito la base per commentare e spiegare i passi incerti del testo divino sulla scorta delle regole della lingua araba che proprio in quel tempo cominciavano a essere sistematicamente studiate. È quindi intorno al Corano che nascono le prime «scienze» islamiche, strettamente interconnesse e, all’inizio, praticamente inscindibili: la spiegazione e il commento del testo sacro (tafsìr) e la raccolta di aneddoti relativi alla vita del profeta (hadit) i quali ebbero in un primo tempo un contenuto essenzialmente biografico, ma assunsero ben presto valore giuridico, per trattare infine anche questioni teologiche.
I 114 capitoli del Corano, detti sure, sono stati riuniti in ordine di lunghezza decrescente, salvo il primo che funge da introduzione, cioè quasi esattamente all’inverso rispetto alla loro successione cronologica. Il contenuto spesso allusivo e lo stile poetico, specie delle sure appartenenti al primo periodo meccano, contribuiscono a renderne talvolta oscura l’interpretazione.
La raccolta di notizie sulla vita del profeta quindi, oltre alla soddisfazione dei fedeli desiderosi di conoscere meglio la figura del fondatore della loro religione, rispondeva alla necessità di stabilire l’esatta cronologia dei capitoli e la sicura interpretazione dei versetti oscuri, mettendoli in relazione alle vicende della vita di Maometto e della prima comunità islamica. Storico-biografico e linguistico-grammaticale fu pertanto l’approccio dei primi commentatori del Corano che si diedero a raccogliere sistematicamente il magmatico e vasto materiale che si andava accumulando sugli anni e i protagonisti della rivelazione.
Tra i maggiori commentari coranici, di mole e contenuto enciclopedico, che vedranno la luce nel corso dei secoli ricordiamo quelli di al-‘l`abari (m.923), di al-Zamahšari (m. 1144), di al-Razì (m.1209), di al-Baydâwi (m,1290) e dei due Galal (fine XV secolo) miranti essenzialmente a chiarire il senso del testo sacro con spiegazioni grammaticali, parafrasi e disgressioni storiche.
Nel loro contenuto dogmatico o giuridico i commentari risentono ovviamente del periodo in cui il loro autore e vissuto e della scuola o della setta a cui egli si rifaceva.
Numerosi sono poi i commentati dei mistici che danno del Corano un’interpretazione simbolica molto accentuata.
Accanto a queste opere sistematiche il Corano fu oggetto di studi stilistici finalizzati a dimostrare l’eccellenza e l’inimitabilità (i’gaz) secondo l’ortodossia islamica; infatti Maometto fu un uomo come gli altri e non compì atti miracolosi: affermare il carattere unico per stile e per contenuto del messaggio a lui affidato era pertanto un modo per assicurare un’autorità irrecusabile alla dottrina e al diritto musulmani. Meno centrato sulla spiegazione del testo, ma teso a prenderne spunto per trattare dei grandi temi della trasformazione culturale e sociale del mondo islamico, è il commentario di Muhammad ‘Abdhu (m. 1905), Un certo successo hanno avuto nel corso di questo secolo commentari di stampo «scientifico››, inaugurati dall’egiziano Tantwi Al-Gawhari (m.1940), i quali, con chiaro intento apologetico, si proponevano di risolvere la controversia fede/ragione attraverso un ingenuo concordismo tra rivelazione e scienza, cercando di scoprire nel testo sacro la prefigurazione di moderne scoperte e invenzioni. Ultimamente non sono mancati commenti al Corano di esponenti di movimenti islamici radicali, come l`ideologo dei Fratelli Musulmani Sayyid Qutrb (m. 1966), che ne propongono una lettura politica di carattere rivoluzionario.
Un tentativo di distinguere verità storica e libertà narrativa nei racconti che il Corano contiene circa alcuni antichi personaggi, proposto dall’egiziano Halaf Allah, ha incontrato vivaci resistenze, per non parlare del rifiuto opposto a chi ha proposto di separare nella rivelazione i principi eterni dalle disposizioni contingenti, come il tunisino Tahir al-Haddad, o a chi ha addirittura parlato di un distacco dal messaggio coranico risalente al periodo di Medina, per recuperare lo spirito universale ed eterno degli insegnamenti del periodo meccano: è il caso del sudanese Mahmud Taha, giustiziato per le sue idee nel 1985.
La parola
Essa, nella sua dimensione religiosa, apre alle popolazioni via via raggiunte nuovi orizzonti, nuove sfere di esperienza, nuova escatologia, nuovi orizzonti di salvezza. Il Corano è il punto di partenza dal quale si stabilisce tutto ciò che sarà il mondo, la società, il dire e il fare della cultura, della religione, della società islamica.
Il fenomeno linguistico riveste certamente un’importanza essenziale. Non vi è, infatti, un fenomeno del Libro, perché il libro diventa tale soltanto venticinque anni dopo la morte del profeta. Muhammad, in realtà, non ha visto il Corano. La sua trascrizione, infatti, viene effettuata dopo la sua scomparsa superando un certo numero di diatribe tra varie scuole religiose. Con la recensione del califfo Othman, infine, si ha il corpus definitivo, la Volgata della Parola, il testo cioè del Corano. La nozione di Parola è il presupposto fondamentale per chi vuol comprendere l`esplosione della società e della cultura islamica. Il fenomeno coranico è già Parola in sé. La raclice Al Q’ran, che significa recitazione, indica già il legame tra l’uomo e la Parola e passa attraverso un flusso linguistico che esprime un certo numero di assiomi religiosi a vari livelli.
Quali sono questi assiomi religiosi?
In primo luogo la Prima Parola non obbedisce ai criteri di razionalità di matrice Kantiana. Nel Corano non c’è nessun legame logico tra un capitolo, sura, e l’altro. La logica del racconto è atipica. La struttura interna delle sure e dei versetti obbedisce a criteri linguistici e religiosi determinati dalla cultura (intorno a questo fatto esiste, sin dal primo Novecento, un grosso dibattito all’interno del mondo islamico) ed è direttamente legata alla struttura, all`immaginario religioso posseduto dalle popolazioni arabe preislamiche.
Nella struttura del racconto, per esempio, possiamo intravvedere notizie su popoli sconosciuti, scomparsi, che erano in relazione con l’immaginario preislamico delle popolazioni arabe.
L’aspetto del racconto, fatto di notevole importanza, poi, è di struttura mitica e obbedisce a una nozione di circolarità e non di linearità del tempo.
Il mito, infatti, non implicando la linearità cioè il passaggio da A verso B ma l’idea dell’eterno ritorno, forma la mentalità e fornisce una specie humus di visione particolare.
La stessa struttura grammaticale del Corano implica una determinata concezione di Dio ed una certa idea del rapporto uomo-Dio. La grammatica, all`interno della scienza coranica, è una scienza sacra. Praticare un’ermeneutica grammaticale sul testo significa andare alle radici stesse della visione che l’uomo può avere di Dio. Dio, insomma, si nascondeva dietro la Parola che È un idioma linguistico.
Una struttura grammaticale particolare, poi, significa un certo ordinamento del rapporto. L’uso quasi continuo dell’imperativo e del plurale maiestatis, per esempio, implica la nozione di sovranità totale di Dio, messa in correlazione con l’aspetto infinitamente piccolo dell’uomo: è una gerarchia, non nel senso dei valori, tra positivo e negativo, il rapporto che esiste a partire dalla struttura grammaticale dimostra l’immensa sovranità, la totalità di Dio e la piccolezza dell`uomo. La struttura delle metafore indica, indirettamente, come è ordinato il mondo. Esso è una specie di riflessività.
Il modo in cui sono strutturate le frasi e i versi del Corano, poi, indica che il mondo descritto, il mondo della natura, il microcosmo, è sempre visto come un’emanazione della sovranità divina affidata conseguentemente all`uomo perché ne scopra i misteri. Esiste cioè nella natura un rapporto gerarchizzato tra una conoscenza che era indirettamente da dare e da dimostrare all’uomo nella sfera del prescritto. I musulmani, in effetti, fin dall’inizio dell’Islam, sono stati dei grandissimi scienziati, matematici, medici, ecc.
Le sure meccane e medinesi
Un’altra dimensione, a carattere strutturale, molto discussa e complessa, riguarda l?islam come cultura e religione. Si tratta di un problema riguardante la struttura stessa del testo coranico e precisamente la differenza tra le sure di matrice meccana e medinese. La risoluzione di questo problema, non casualmente, è stata una decisione storica. Senza entrare nel dibattito specialistico di islamologia che il problema comporta, sarà utile sintetizzarlo al massimo.
Le sure meccane corrispondono al primo momento della predicazione coranica. Il profeta Muhammad recepisce, attraverso l`angelo Gabriele e durante un`esperienza di vita solitaria, le prime sure del futuro Corano. Egli, esiliato interiormente e socialmente, allontanato dalla città della Mecca, ritirato in una grotta, accoglie le prime parole della rivelazione. Le sure meccane del Corano sono, in genere, brevi, escatologiche e metaforiche. Nel corpus coranico attuale sono collocate alla fine del Libro ma cronologicamente si riferiscono ai primi tempi della rivelazione del profeta.
Le sure medinesi, invece, sono frutto di un`esperienza profetica totalmente nuova che, fra l’altro, diventerà il paradigma socio-politico dell’1slam.
L’esperienza profetica di Muhammad nelle sure medinesi non è più solitaria come quella delle sure meccane. Il profeta, cioè, non riceve da solo la rivelazione. All’interno di un cambiamento sociologico enorme, Muhammad, per la prima volta, si reca dalla Mecca a Medina, non da solo, ma accompagnato da quattro compagni e da altri seguaci. L`esperienza individuale diventa esperienza comunitaria, L’Islam cambia, annuncia una Specie di seconda missione, diventa cosi non soltanto un’esperienza religiosa di matrice individuale ma anche comunitaria. A Medina nasce la prima comunità e dunque il primo stato musulmano, se di stato si può parlare. Le sure medinesi, diverse da quelle meccane, hanno una matrice giuridico-istituzionale con aspetti di diritto pubblico (come si organizza la comunità, ecc.), penale, internazionale, ecc.
Nell’immaginario collettivo, d’ora in avanti, la comunità di Medina, vista come comunità ideale e paradigmatica, una specie di età dell`oro alla quale qualsiasi società umana, cioè musulmana, dovrà un giorno o l’altro riferirsi, funzionerà quasi da recipiente e anche da memoria collettiva di tutta la cultura islamica. A partire da questo momento si dice che l’Islam non è più soltanto dín, cioè fede religiosa, ma dìn wa dunyà wa dawla, religione, mondo e stato, società se volete. L’esperienza medinese indica questa svolta antropologica nell’Islam. Le sure medinesi, pur obbedendo alla seconda esperienza profetica, si trovano nelle prime pagine del testo, a sottolineare, indirettamente, l’insistenza della società musulmana su questo aspetto socio-comunitario.